Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/117


capitolo iii 111

     Poi ne partimmo e per una caverna
intrammo un monte, e tanto la dea salse,
che fummo insú la terza valle inferna.
     Chiunque con fatti e con parole false
inganna altrui con doli ovver con frode,
105quivi ha lo scotto con amare salse;
     ché strascinati son dietro alle code
in forma di cavalli da’ dimòni,
e chiunque corre piú, quello è piú prode.
     E sopra quelli stan cogli speroni
110altri dimòni, e tra le pietre dure
strascinan l’alme supine e bocconi.
     E quivi del mal peso e di misure
si fa vendetta e d’ogn’infedel arte,
de’ giochi, d’arcarie e di man fure.
     115La dea mi disse:— Andiamo in altra parte,
ché ’n poco tempo al cerchio d’Acheronte
di piaggia in piaggia a me convien menarte.—
     Allor intrammo per un alto monte,
sempre montando, ed al sommo salito
120vidi gran valle, quando alzai la fronte.
     Il vizio contro natura è punito
acerbamente in quella valle piana;
lí sta in tormento ciascun sodomito.
     Questi omicidi della spezie umana
125l’amor, che figlia e fa congiunti insieme,
spreggiano e gittan come cosa vana.
     Sopra esti destruttor dell’uman seme
il foco e ’l zolfo puzzolente piove,
e dentro al fuso rame ancor si geme.
     130Salimmo poi nel quinto cerchio, dove
li sette vizi avevan giá le case,
anzi che gisson dell’inferno altrove.
     Ell’eran grandi e vacue rimase,
sí come a Roma sono le ruine
135delle anticaglie con le mura pase: