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capitolo iii 109

     A me parlando senza mia domanda,
mostrò due vie, e disse:— D’este due
30prendi qual vuoi, ed a tuo piacer anda.
     Questa, ch’è arta e che mena alla ’nsúe,
è nel principio molto aspera e forte,
ma poi nel fine ha le dolcezze sue.
     Quest’altra, che tu ve’, che ha sette porte
35e che è lata e mena giuso al basso,
è dolce in prima e poi mena alla morte.—
     Oh semplicetto me, ignorante e lasso!
Presi la via, che all’ingiú conduce,
perché piú lieve mi parea al passo.
     40E nell’entrata è ver che quivi è luce;
ma, perch’è scura quanto piú giú mena,
andai poi come un cieco senza duce.
     Cosí, privato di luce serena,
io giunsi in poco tempo insino al centro,
45onde nullo esce senza forza e pena.
     Quando mi vidi condutto lí entro,
dicea tra me:— Come son qui venuto
in questo fondo, ove io cosí m’inventro?
     — Non cercar ora come se’ caduto
50— disse Minerva dalla lungi alquanto,—
ma pensa uscirne e che a ciò abbi aiuto;
     ché ’ngiú andando sei disceso tanto,
che piú che ’n testo loco non si scende,
e chi n’uscisse sal da ogni canto.
     55— Io prego, o dea, il braccio a me distende
— diss’io,— ché uscirne m’affatico invano,
se tu con la tua destra non m’apprende.—
     Allor dea Palla stese a me la mano
e di quel fondo, dove io m’era messo,
60mi trasse su, tirandomi pian piano.
     Quand’io fui ito un miglio su da cesso
dal loco, che Satán lassato ha vòto,
trovai Cocito e ’l laco suo da presso.