O buon secolo d’oro, ove sei gito?
Le tue colpe, i tuoi colpi eran di ciancie,
Marte stava prigion per Fuoruscito.
Reggeva Astrea con le due man Bilance,
Spada ancor non s’udia, nè Capitano,
Eran tele di ragno infrà le lance.
La Bottega di Lenno havea Vulcano
Sempre rinchiusa, e non leggeasi in carte,
Ch’aprisse uscio di guerra il vecchio Giano.
De le fortune altrui godea la parte
Senza risse il vicin, nè parea nato
A dar martiri, à far Martini un Marte.
Dormia sotto un sol tetto un vicinato,
I Conti e i Contadini eran Cognati;
E in tutti apria spirti conformi un fiato.
Cauta Sobrietà tendea gli aguati
A chiusi morbi, e in faccia à Galateo
Facean da Trombe, e da Bombarde i flati.
Nessun fea da Procuste, ò da Tifeo,
E s’usciva una brusca parolina,
Era il cenno d’un guardo un Caduceo.
La pace era una Serva, ella in cantina
Spillava i vasi, e fea le celle nette
Con la scopa d’olive ogni mattina.
Il capo non rompean tante Trombette,
Il braccio non movean tanti tamburi,
Il cor non accendean tante vendette.
Non si fea porta, ò chiave à gli habituri,
Meze Lune havea ’l Cielo, e non la Terra
Le Fortezze eran d’alme, e non di muri.
Non reggea Pluto ancor Regni sotterra,
E non patia di terren pondo scarca
Ripresaglie di furie, anima ch’erra: