Già, già di Morte a l’orrida licenza
Mesto rinuncia il Mietitor la falce;
Mentre, di Spica il suol voto, e di tralce,
Fertile appar d’una Cadmea semenza.
Scoppino pur, qual pria, Nubi tonanti
L’armi del giel, nudo Cultor non pave,
Manca al Nume la messe, e più non have
La riverita Enea l’are fumanti.
De le provide glebe à la coltura,
Gli empi Cacchi di Marte i Tauri ha tolti
E in van d’intorno i desti lumi hà volti
Contro stuol Briareo d’Argeo la cura.
D’ingorda man miseri avanzi estremi
Restan le marre à queruli Bifolchi.
Anzi immoti Cadaveri de’ Solchi
Giaccion gli Aratri, ov’hebber tomba i semi.
Gli heredi altier di terren culti, e vasti,
Nutre i confin di bassa Valle angusta;
E chi l’origin trahe d’Arbor vetusta.
In rozza Casa humiliati hà i fasti.
Quel ch’affisso in quadriga, e d’auro grave
Parv’il Sol ch’in suo carro esca dal lido
Hor sembra nudo il Giovane d’Abido,
Ch’à sè medesmo è rematore, e nave.
Misero honor degli Avi, Aure di Corte,
Indarno homai fasto di sangue attende,
Ch’ove Fortuna prospera non spende,
Lo splendor de’ Natali ombra è di morte.
Già de’ vostri Guerrier gli empi appetiti,
A i casti seni altrui tendon rapina;
Nè più raccoglie homai l’aurea Lucina
Prole simile à i Genitor mariti,