E pur s’odon di lui nuove funeste:
E pur l’occhio di lui chiuso in oblio,
Più vigile non hà, non hà più feste.
Dunque, perch’huomo tal cadde, e morio
Per ragion di pietà pianger bisogna?
Nè lagrimate voi? No, nè men io.
Egli è morto, e non piagne, & io vergogna
Dirò, non lagrimar la sua ruina?
Ohibò, si gratti lui, s’egli hà la rogna.
Sian mesti quei, che per goder pedina,
Son scacchi matti, e passano con guai
Le lor Vitelle in carne di Vacinna.
Sian mesti quei, che per amor due rai
Non chiudon gli occhi; e con più strano fato
Vivon corrivi, e non arrivan mai.
Malinconico sia quell’affamato,
Che senza morbo haver fà la Dieta,
Senza merito haver hà digiunato.
Voi che del viver lieto havete l’arti,
E nel cervel, c’hà le lascivie escluse
Imprimete concetti, e fate parti.
Voi, che fate stupir l’empie Meduse
Con lo scudo di Palla, e che non siete
Qual Pireneo svergognator di Muse.
Date gli animi vostri à l’hore liete,
Se bramate la vita, e darà palma
A letitia di cor corsa di Lethe,
Procelloso dolor sempre d’un’Alma
Agita il legno, e poi lo tira al fondo;
Che in mar di vita un’allegrezza è calma.
Se bramate d’haver tempo giocondo,
Fate conto veder Turba di mesti,
Mover corsa di Palio in questo Mondo.