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Fascio Terzo. 279

     Ahi vista amara. Un Rio mirar da un sasso
     Spumante uscir, precipitar gagliardo:
     E la dura Città d’acque cospersa
     Entro il molle flagel videro immersa.

Liquefatta in palude eccola a pena,
     Che d’un Isola in lei spunta l’oggetto:
     E ’n questa poi, qual Deitade in scena,
     Il Tugurio fedel mirasi eretto.
     La Capanna è già Tempio, in cui balena
     Arsa face, aureo muro, argenteo tetto,
     Nel fumante Camin cupula appare,
     E la Mensa hospital s’erge in Altare.

Mirate là, disse à l’hor Giove à quelli,
     Come forza di Ciel l’opre compensa:
     Quali ad anime ree piove flagelli,
     Quale ad anime pie premio dispensa.
     Hogg’è de’ Pesci il sen tomba a’ Rubelli,
     E Sacrario è di Dei la vostra mensa,
     N’havrete voi di Sacerdoti il zelo;
     Fin ch’ambo à un punto estingua aura di Cielo.

Sparvero i Numi, e i Semidei Custodi
     N’adoraro nel suol l’orma stampata,
     E Nuncij al fin de le divine lodi
     Torsero il piè ver la magion sacrata.
     Quì si visser congiunti: in fin che i nodi
     D’amor disciolse humanità cangiata,
     E fatti rami i crin scorze le vesti,
     Fero in due Tronchi à tronca Vita inesti.