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Fascio Terzo. 273

     Alma non satia in povera misura,
     Hà ne la copia sua fame inquieta;
     E se ’l ben, ch’anhelo, mai non raguna;
     Delitto è di desio, non di sfortuna.

Forse avverà, ch’al ben oprar m’inspire
     Solitario confin di chiuse Valli.
     Langue hoggi il vezzo, ove non è che ’l mire,
     Ch’anco la gloria sua tentano i falli.
     Non vuol Boschi superbia; e human fallire
     Specchio non vuol di liquidi cristalli,
     Là sù le vie d’adulator ripiene
     Non favolose colpe hoggi han le scene.

Volea pur dir, perche de Vecchi il petto
     Naturalmente i Cicalecci esala:
     E però de l’Aurora anco il Vecchietto
     Fu convertito in garrula cicala;
     Mà da Bauci à tacer videsi astretto,
     Ch’un’appesa caldaia à terra cala.
     Per quì lavar con rusticani arredi
     La non pedestre impurità de’ piedi.

Scalza i Numi il buon Vecchio, e in genocchione,
     A non creduti Dei celebra honore,
     Lei terge, asciuga, e in ristorarli pone
     Grande humiltà, gran carità di core,
     Mentre salia de la devota attione
     Al Ciel de’ Nasi il sacrificio odore,
     Queste insegnar le Deità mendiche
     Norme cortesi à le Rozzezze amiche.