Mi regge intiero, e mi ravviva acceso.
Questa vita mortal di Prato hà faccia,
Ove han molti Animai vario il talento.
In lui segue del Lepre il Can la traccia,
La Cicogna lacerte, herbe l’armento.
Là trà piume otiose altri sen giaccia,
Varchi le gole altrui stranio alimento,
Quì la fame, la sete, e ’l sonno mio
Appaga un Prato, una Radice, un Rio.
Sprezzator studioso io quì non vivo
D’ogni diletto, ond’è Natura amante;
Nè aborro il ben, perche del ben son privo?
Nè mostro Hippocrisia trà queste piante,
Scarso non sembra al buon Colono il rivo,
Che comparte al suo prato humor bastante;
E à far de l’Alma mia satie le brame,
Basta un lieve alimento à poca fame.
Pari à spatio di campo io serbo il seme,
Pari à l’esca, à la fame io vanto il merto;
Nè da lungo digiun spinta la speme,
Anhela al fin d’un alimento incerto,
Così di Povertà duol non mi preme;
Nè à cader vò, per rimirar tropp’erto,
Che Fortuna è de’ piè pari à la spoglia,
Tropp’ampia atterra, e tropp’angusta addoglia.
Chi mena i dì con legge di Natura,
Ne la parca magion l’anima acqueta,
Chi d’un avido spirto i moti cura,
Al suo lungo sentier non trova meta,