Ma fù caso ridicolo agli Dei,
Mentre fean d’Elemosine richiesta,
Da una Finestra in lor certi Plebei
Versaro un vaso d’acqua in sù la testa,
Piovano, pur disse a l’hor Giove, i Rei,
Un dì fia lor la pioggia mia molesta;
Ma per quanto in quel dì disse un Lunario
Giove, e Mercurio stavano in Aquario.
Incontrando per strada un . . .
Che la Crusca direbbe un Barbassoro,
Me . . tuæ, disse, commendo,
Mercurio, e nel latin chiese un ristoro.
Quei, saper di latin forse credendo,
. . . non habeo, disse loro,
Così volendo dir. Non hò un quattrino,
Disse ch’era empio, e non sapea Latino.
Mossero al fin da la Cittade i passi,
Tanti digiuni de l’humana aita,
Quanto satij de’ Vitij, e in rozzi sassi
L’orme trovar d’una Pietà bandita,
Spesso il Valor fede traspianta, e fassi
Civile il Bosco, e la Città romita,
E ad onta pur de la magion superbe
Germe d’alta Virtù spuntan frà l’herbe.
S’ergea fuori del Borgo in vicinanza
Roza magion d’Architettura scabra,
Che di mura infrascate havea la stanza,
E vil Necessità n’era la Fabra.