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146 | Delle Frascherie |
Quì poss’io mormorar: che se nel Foro
Voglio tal’hor cantar d’Orlando ài vivi,
Per man di Ferraù piango, e mi moro.
Io non son huom da mormorar de i Divi
Che non fer la finestra al petto humano
Per qui mirar gl’ingannator motivi.
Nè men vò mormorar, c’habbiamo in vano
Dato à Mariti rei Corneo cimiero;
Mentre toccar nol possono con mano.
Sento nel seno mio moto più fiero,
Giudica tù se con ragione io possa
Mandar sequestri al libero pensiero.
Se per fetide colpe havrai commossa
La mente incolpa i Rei, mentre à la Rima
Fra le turbe del Corso io dò la mossa.
Momarte.
Bocca, e Boccal son di contraria stima;
Che nel boccal sempre la feccia affonda
E nel dir mal sempre la feccia è prima.
Mà qual copia d’humori alza, & inonda
Sù ’l labro tuo le biliose spume:
E ti nega il frenar l’impeto à l’onda?
Ticleue.
Fissa colà sù quel Palazzo il lume,
Se voi saper, come in un Trono s’erga
D’ambitiosa Avaritia un cieco Nume.
Stanze là son, dove il Padrone alberga,
Ch’in faccia à l’Austro, e d’Aquilone i fiati
A schernite stagion voltan le terga.
Vanne la giù d’imo Cortile à i lati;
E vedrai da Lisippo, e da Mirone
Con man Deucalionea Sassi humanati