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108 | Delle Frascherie |
tione, ò di scusa, come quel Cacciatore che scoccando all’aria un colpo, venisse con la caduta dello strale à percuotere impensatamente, & in remota parte chi passa.
Parve più ridicola la sentenza di un Italiano Prencipe, il quale ascrivendo à suo biasmo una maledica poesia, composta da un chiaro Ingegno, à puro esercitio di talento, e nella quale non esprimendosi il nome dell’infamato, poteva il predicato vitio applicarsi à molti, fe’ decretar in scritto, che il Poeta, come reo di lesa Maestà, gastigato fusse; ma non andò molto, che si vide affisso contra il Prencipe un Cartello in prosa, in cui contenevasi, che in vigore delle leggi non doveva punirsi il Poeta: ma il Prencipe, com’autore di due Cartelli infamatorij; l’uno contra il Poeta da lui infamato, per Autore di Libello, non essendo, nè provandosi tale; l’altro contra se stesso; perché s’era adossato un delitto, dannato dalle leggi con pena di morte, e di cui non s’era fatta in sua persona mentione alcuna nel Componimento.
Sotto la Tirannide non v’è minutia sicura. I detti, i sogni, le meditationi, i sospetti, son presi in delitto di lesa Maestà, e di Religion offesa. Così doppo i primi anni di Tiberio, e di Nerone avveniva; e quell’infame di Caligola, che pur soffrì una volta il mordace moto d’un Sarto, leggesi, ch’arder facesse un Poeta per un puro equivoco.