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ma che importa tutto ciò? Il vero è che la parola calda e vibrata sgorga dal cuore per naturale impulso: che l’immagin poetica è schietta e determinata nella sua semplicità, e che l’ultimo verso assai sovente balza dall’animo con lirico entusiasmo».

Anch’io credetti un tempo, che nella poesia del popolo di Roma fosse nascosta una potenza lirica, se non superiore, da uguagliare almeno il lirismo dei canti siculi e toscani;1 ma la continua analisi mi condusse a convincermi del contrario e a constatare che il popolo di Roma poesia propria non ha, e che tutto quel tesoro di lirica che possiede lo ha tolto dai canti dell’Italia centrale e delle provincie meridionali, per i contatti continui cogli abitatori di quelle contrade. Così ho fatto un opposto viaggio; e mentre il Zanazzo dal mondo vero saliva alla idealità,2 io dalla illusione discendevo al positivo e al reale.

Ma perchè il mio non sembri un asserto gratuito, esporrò qui una prova non dubbia di quanto affermo, analizzando un gruppo di canti roma-

  1. Sabatini, Saggio di canti pop. rom., p. 52.
  2. Nei Fiori d'acanto il Zanazzo ha innalzato il nostro umile dialetto ad un lirismo forse un po’ esagerato. Anche il Trilussa ne’ suoi madrigali romaneschi: Stelle de Roma, tentò applicare il nostro dialetto ad una lirica fuori del suo carattere. Ma è da notarsi che il Trilussa rivolge il suo lirismo al ceto aristocratico; mentre il Zanazzo si rivolge al plebeo: solo difetto del Trilussa è lo aver egli parlato in dialetto ad una classe, che non lo parla, e però non lo intende.