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Gaetanaccio 27

tersi comprare la colazione. Ciò l’indispetti, e giurò di vendicarsi.

La mattina appresso ritornò sulla stessa piazza, posò il casotto, abbassò le tele, che lo circondavano, e si nascose dietro di esse, ponendosi come il solito a sonar la pivetta per chiamar gente.

La gente accorreva, e Gaetanaccio dentro il casotto seguitava a sonare. Quando egli vide che la folla era grande, che tutte le finestre si erano aperte, che tutti i bottegai erano corsi sulle porte delle loro botteghe, zitto zitto rialzò le tele, le arrotolò, si ripose il casotto sulle spalle, e se ne andò via.

I curiosi, rimasti con un palmo di naso, abbassarono gli occhi, e videro ..... Videro che al suo posto egli aveva lasciato un segno della sua collera del giorno innanzi, un segno così grande, così spettacoloso, che poteva servir di concime a una piantagione di cavoli.

I giorni più tristi per Gaetanaccio erano quelli in cui venivano proibiti i pubblici spettacoli: tristi i venerdì, più triste l’avvento, tristissima la quaresima; ma sopra ogni altro triste e doloroso fu per lui l’anno santo, che fu celebrato nel 1825.

Appena il pontefice Leone XII aprì la porta santa della Basilica Vaticana, il povero burattinaio, interdetto nell’esercizio della sua professione, si trovò alle prese colla fame, e costretto a domandar l’elemosina. Fatto un fascio dei suoi burattini, se ne andava di piazza in piazza, e, stendendoli