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24 F. Chiappini

Passata la bufera, Gaetanaccio si alzò dal letto, prese il casotto, e se ne andò difilato sotto le finestre del sor Agapito, ove rappresentò per filo e per segno tutto il fatto ch’era seguito in sua casa. Mentre il sor Agapito di stracci ripeteva le parole: «Che levo a questa pezzente, che non ci ha nemmeno il fiato?» e Rugantino dal letto diceva a parte: «Che ssi’ ’mmazzato! sitte venni la masseria de’ lletto a ’n buecco ar capo, diventi più ricco de Turlonia»; il vero sor Agapito s’affacciò alla finestra, e, vedendo Gaetanaccio che vivo e verde lo stava cuculiando in mezzo alla strada: «Ah galeotto, gli gridò, me l’hai fatta. Ma non son chi sono se non ti mando in galera» . E Gaetanaccio, facendo capolino tra le tele del suo casotto: «Nun v’arabbiate, gli rispose, che un desti giorni ve sardo».

Certi frizzi, ch’ei ripeteva spessissimo, quantunque uditi le mille volte, provocavano sempre la risata.

Nell’atto che Rugantino bastonava sua moglie, veniva il diavolo per ispaventarlo. Rugantino gli diceva:

Che vv’impicciate de li fatti mii? Ciavete moje voi?

Brum, brum, gli rispondeva il diavolo crollando la testa.

- Nun ce l’avete? replicava Rugantino. Ma cquela llì nun è ttesta da scápolo.