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Gaetanaccio 11

erano le satire, le arguzie e le facezie che gli germogliavano sulle labbra, senza che l’una aspettasse l’altra. Con queste droghe egli condiva le sue commediole, che componeva da se stesso, e recitava a soggetto, desumendone gli argomenti da scandali o da pettegolezzi, che gli venivano raccontati, o da fatti di cui egli stesso era stato testimonio e, spesse volte, anche parte.

Il suo casotto era una gogna, sulla quale egli metteva in ridicolo ogni sorta di persone.

Nessuno, che avesse un debito da pagare al popolo, poteva sottrarsi alla sua mordacità, nemmeno il Governo, contro il quale lanciava spessissimo le sue satire, senza curarsi del danno che gliene potesse sopravvenire.

Lo menavano in prigione? Egli ci andava volentierissimo, pur di levarsi il ruzzo dal capo.

Il suo personaggio principale era Rugantino, maschera romanesca, della quale non veggo far motto nè dal Muzzi, nè da altri, che hanno scritto delle maschere italiane.1

Rugantino è la caricatura dello sgherro romanesco. La sua figura è oltremodo ridicola: statura bassa, testa grossissima appiccata sopra un busto tozzo e scontraffatto, braccia sottili, mani somiglianti a pale di remo, con cui potrebbe allacciarsi le scarpe senza inchinarsi, gambe ti-

  1. Recentemente ne parlarono: Mezzabotta, Il congresso delle maschere italiane in Roma, p. 18; Sabatini, Spigolature, p. 51.