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10 F. Chiappini

vendono un vino che non è vino, torna sempre sulle loro bocche il nome di Gaetanaccio: «Ce vorebbe lui pe’ ddaje ’ na susta; ce vorebbe lui pe’ cconsolalli. Ma nun c’è rimedio. Ghetanaccio è mmorto, e un antro uguale nu’ ne viè’ ppiù».

Avendo io nella sopraddetta bottega udito ripetere le mille volte cotesto nome di Gaetanaccio nei discorsi di quei popolani, mi venne voglia di saper chi egli fosse, e così fu che mi diedi a cercare le sue memorie, e mi venne fatto di trovarne qualcuna.

Gaetano Santangelo, conosciuto col nomignolo di Ghetanaccio, era un burattinaio che visse in Roma tra la fine del secolo passato e il cominciare del nostro. Nato in Borgo Vecchio, all’ombra della gran cupola, da una coppia di genitori che stavano a quattrini come sant’Onofrio a calzoni, egli andava girando per la città, recandosi sulle spalle un castello di legno, o, come si dice, un casotto, nel quale, con certi mostricciattoli, che si fabbricava da se stesso, dava in piazza le sue rappresentazioni. Il popolo stava ad ascoltarlo a bocca spalancata.

Egli sapeva imitare tutte le voci, non che degli uomini, ma anche degli animali; sapeva recitare tutti i dialetti, sapeva parodiare tutti i linguaggi, sapeva trovare in ogni cosa il lato ridicolo; se fingeva di piangere, il suo pianto pareva vero; se rideva, bisognava rider con lui.

Ma ciò che soprattutto lo rendeva gradito