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126 | P. Barghiglioni |
Eppure l’isoletta che si chiamò più anticamente insula Tiberina, ed oggi si conosce volgarmente per isola di San Bartolomeo, ha la sua storia e le sue leggende.
Contasi di quest’isola, siccome dopo la espulsione dei Tarquini e la congiura degli Aquilii e dei Vitellii, l’anno 246 di Roma, nel Tevere, molto basso allora in quel punto e tutto pieno di banchi di arena, fossero affondate le messi che biondeggiavano sul campo detto poi Marzio, appartenenti al re discacciato e donate al popolo dalla Repubblica.
Un banco arrestò le biade, alle quali aggiuntesi altre materie galleggianti, indurirono e formarono in mezzo all’acqua un vasto piano di terra che tosto divenne fertile e coprissi di alberi e d’erba, formando un folto boschetto.
L’amenità del luogo e la originalità di un’isoletta sul fiume colpi l’immaginazione latina; si tagliò parte del bosco, e vi si eressero monumenti, statue, obelischi; vi fu consacrato un tempio a Giove e un altro a Fauno, ed uno superbo ad Esculapio, dedicato in rendimento di grazie, dopo una terribile pestilenza, da coloro i quali, partitisi da Roma con la flotta per consultare gli oracoli della Sibilla, ebbero per risposta la ingiunzione di recarsi in Epidauro e di portare a Roma di colà un serpente sacro al dio della medicina. Tornando però con tale sacro pegno e passando dinanzi all’isola, quel serpente