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L’ortografia del dialetto romanesco | 95 |
e della o (é, è; ó, ỏ), sicchè ci dà le voci volè, perchè, mommò, alò, ecc. che il Morandi molto giustamente corregge in volé, perché, mommó, aló, ecc. (I, ccxCIX) . Finalmente è da riprovarsi il raddoppiamento superfluo della j usato dal Belli. Questa consonante (derivata dalla l molle: fi-li-us, fi-gli-o, fi-j-o) per poco che si attenui si vocalizza e scompare; e infatti si paragoni la forma fijo mio, che ha due accenti tonici, la quale se nella prima voce perderà l’accento vocalizzerà, e perderà anche la j, divenendo: fio mio; ed abbiamo di ambedue esempi nel Belli: 1 ) Caro quer fijo! dateje la zzinna (I, 4); in questo verso l’accento trovasi sulla i di fijo; 2) S’er mi’ fio ciuco me porta lo stocco ( I, 40); qui l’accento cade ugualmente sulla quarta, ma sulla voce ciuco, rimanendo la i di fio atona per la perdita della j. E così all’inverso per poco che la j si rafforzi va cangiandosi nella g gutturale aspirata dei Siciliani (fi-j-o, fi‑gghi-u).
Luigi Ferretti, valente poeta romanesco, rapito ai nostri cari studî nel 1881, fece un altro passo, e nei suoi sonetti elegantissimi1 adoperò una più retta grafia notando le flessioni della e e della o, usando la j nel suo proprio valore e indicando le lettere cadute nella pronuncia. Solo non fece uso delle doppie consonanti iniziali; perchè egli diceva che tal genere di rafforza-
- ↑ Centoventi sonetti in dialetto romanesco di Luigi Ferretti, Firenze, Barbera, 1879.