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L’ortografia del dialetto romanesco | 93 |
«Altri ànno scritto in questo idioma vaghissimi poemi; ma il parlare che anno usato può chiamarsi ermafrodito, non essendo buon romanesco, nè buon toscano. Oh! sarebbe pur la gran felicità per chi à da scrivere, particolarmente in versi rimati, potersi prevalere de’ termini di più dialetti, a suo capriccio, secondo più in acconcio gli tornassero ne’ suoi componimenti».
Nel secolo nostro, il principe della poesia romanesca, G. G. Belli, faceva un progresso nella grafia, sia pel raddoppiamento consonantico iniziale, sia per la introduzione della j consonante; sia per il trasformarsi delle consonanti iniziali in posizione; ma varî difetti, che qui analizzeremo, s’incontrano tuttavia nel sistema del Belli. Primieramente la c palatina è espressa dal gruppo sc (nosce per nóce, I, 236);1 di modo che non si ha più distinzione fra le due voci romanesche pesce (pece) e pesce (pesce), mentre di fatto distinzione v’ha fra la c e la sc.2 Troviamo inoltre nel Belli le voci zércio (selce), zicario (sicario), zole (sole), zolo (solo), ecc. per sercio, sicario, sole e solo, nelle quali la s è erroneamente sostituita alla z sorda (t + s).
Difatti se osserviamo i luoghi in cui cadono queste voci c’incontriamo nelle seguenti forme:
1) arzo un zércio (II, 191 ); e qui la s iniziale
- ↑ I sonetti di G. G. Belli, a cura di Luigi Morandi, Lapi, Città di Castello, 1889.
- ↑ Trovasi negli scrittori del sec. XVIII camiscia per camicia.