Pagina:Francesco Sabatini - Il volgo di Roma - 1890.pdf/101


L’ortografia del dialetto romanesco 91

(dell’n e d facendone due nn) le pronunziano annamo, commanno, etc.

«In tutti quelli vocaboli che ànno l’l avanti l’m, come palmo, salma, etc., sogliono invece della porvi la r e dicono parmo, sarma, etc.

«La negativa non dicono non e no, come, per esempio, non voglio lo dicono col non intiero; ma quando è relativo ad una terza cosa, come a dire non la so, non la voglio, etc., togliendogli l’ultima n, dicono no la so, no la vòio, etc. Quello, quella, quelli, quelle si pronunciano da’ Romani con li due ll, e con un solo, cioè, quando la parola che gli segue principia per consonante allora si pronunciano con un solo l, ma quando principia per vocale li dicono tutt’e due (per esempio) quela capra, quela porta, quele capre, quele porte, quell’arma, quell’erba, etc. Tutte le parole (trattone il nome panza) che terminano in anza, anze, enza, enze, come sostanza, sostanze, licenza, licenze etc., dicono sostanzia, sostanzie, licenzia, licenzie, etc.

«Uno e una sogliono alle volte (lasciando la prima lettera) dire ’no stordito, ’no spillone, ’na matta, ’na fava, etc. Altro, altra dicono anche antro, antra, etc. In tutti li verbi, nella parola o caso, portarsi, lavarsi, dolersi, etc., della l’avanti la s ne fanno un’altra s, e dicono portasse, lavasse, dolesse.

«Ne’ verbi volere, fare, dire, nel caso vorrei, farei, direi, dicono vorrebbe e vorria (per vorrei),