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56 CAPITOLO III

anche allora, vi pensò e provvide in vita — perchè il committente sarebbe stato indicato verosimilmente con altre parole. Per lo meno, fra le due ipotesi, quella del Govi che noi accogliamo ci sembra la più prudente. Non solo. Ma nella nota stessa, a chi ben osservi, lo spirito oggettivo che la informa fa sospettare che Leonardo non facesse che trascriverla come una memoria, quasi come modalità di un concorso a cui egli si interessava. Tutto v’è preciso, rigido, matematico come un ordine tassativo del committente o dei committenti. Le cifre son notate, accanto ad ogni pezzo da eseguirsi, come compilate da un pratico del mestiere, quale uno scultore di professione, accanto ad ogni figura e ad ogni membro architettonico prescritto — diremo così — dal concorso. La figura del defunto — v’è detto — costerà 1 00 ducati a farla bene: e par diffìcile che Leonardo precisasse così, con la sua coscienza d’artista che gl’impediva di finir tante cose appunto perchè voleva «farle bene», senza ammettere ch’egli ricopiasse da indicazioni altrui.

Siamo — s’intende — nel campo delle ipotesi. Ma, se non e’ inganniamo, fra quella del vecchio Govi che ritiene la nota posteriore alla morte del Trivulzio, degli ultimi giorni di Leonardo e, ammirandone la precisione, notava che su quei dati si potrebbe « quasi » ricavarne il disegno; e le recise asserzioni del Beltrami di « nessun dubbio » sull’incarico dato a Leonardo dal maresciallo, così che «si può ritenere ormai assodato» che l’artista vi provvide fra il 1506 e il 1507 e che la nota sia « una bella testimonianza della perizia architettonica di Leonardo da Vinci » così che risulti veramente tanto precisa da consentirgli, com’egli ha fatto, una ricostruzione del progettato monumento con misure, piante e sezione (dimenticando magari le caratteristiche sei arpie colli