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46 CAPITOLO III

durre in atto il progetto (1). Ma per allora le ricerche non approdarono a nulla. Nè Maffeo da Civate mal praticho de fondere nè i fratelli Mantegazza — esperti nello scolpire in marmo e in argilla ma non di fusioni, così che proposero di eseguire la statua de recalcho (ottone) — furono accolti. E per quei tempi non se ne fece nulla. Indubbiamente però il progetto, per allora grandioso, non fu dimenticato e se ne parlava a Milano fra la cittadinanza e a Corte quando Leonardo, intorno al 1483, nella famosa lettera — sua, per alcuni; manifestazione di idee sue soltanto, per altri — a Lodovico il Moro proponevasi, fra le molt’altre cose, di dare opera al cavallo di bronzo. Nel 1469 il progetto non aveva ancor fatto gran passi. L’inviato fiorentino alla Corte di Milano Pietro Alemanni ce lo dice esplicitamente scrivendo al Magnifico: Il signor Lodovico è in animo di fare una degna sepoltura al padre et di già ha ordinato che Leonardo da Vinci ne facci il modello; cioè uno grandissimo cavallo di bronzo suoi il duca Francesco armato; et perche S. Excellentia vorrebbe fare una cosa in superlativo grado, m’a decto che per sua parte vi scriva che desidererebbe voi gli mandassi uno maestro o due apti a tale opera: et per benché gli habbi commesso questa cosa in Leonardo da Vinci non mi pare si consuli molto lo sappi condurre(2). Il documento è esplicito. Il duca di Milano in quegli anni aveva incaricato di già (il Seidlitz interpretò arbitrariamente



  1. Archivio di Stato di Milano, « Missive », 112, fol. 355, v. Il documento fu pubblicato e citato più volte dagli studiosi di cose vinciane. Per non andar troppo per le lunghe con note bibliografiche, spesso estranee al nostro lavoro, citiamo e citeremo per l' avvenire in casi analoghi la prima fonte.
  2. Archivio di Stato di Firenze. Archivio Mediceo avanti il Principato, filza 50. n. 159.