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110 CAPITOLO IV

tutto nella forma del viso inscritta in un ovoide — come nelle figure muliebri del Boltraffio — e nel tipo del piccolo Gesù sono ricordi della nuova corrente artistica che muove, in Lombardia, da Leonardo. Ma nella Certosa di Pavia le reminiscenze dell’arte leonardesca non si limitano alle ricordate.

Sopratutto nei minori bassorilievi, nelle decorazioni fitte e frastagliate intorno e dietro l'altar maggiore — dov'è anche una copia languida, a rilievo, della Cena — tipi e forme leonardesche appaiono, infiacchite, fatte leziose e piuttosto attraverso l’arte del Solari pittore e di Marco d’Oggiono che su uno studio diretto dei grandi originali. Forse con qualcuno di quei prolifici decoratori che ornaron la Certosa e altre chiese di Lombardia nei primi anni del Cinquecento Leonardo fu in relazione diretta. Compare mio Benedetto scultore egli ricorda in un manoscritto (G., f. I v.°) e si vuole che alluda al Briosco1.

Certo con quel gran focolare di idee e di attività che fu il cantiere della Certosa pavese — dove pullulavan scultori e tagliapietre — egli ebbe rapporti frequenti durante la sua lunga dimora in Lombardia. I suoi stessi manoscritti ce ne offrono le prove. Egli si aggirò più volte per le vie della antica città, notò le particolarità del grande castello ducale, osservò il moto dell’acqua del Ticino e, nelle rive del fiume, avanzi di vecchie mura, colori strani dei pali, curiosità cromatiche.

Il manoscritto B abbonda tanto di ricordi pavesi che il Solmi lo credette quasi interamente scritto a Pavia, nel 1490. Certo Leonardo vi frequentò la biblioteca, ritrasse l’antico teatro eretto da Teodorico pensando a trasformarlo; disegnò, sembra, la statua del Regisole, studiò il sistema d’irrigazione dei canali.

  1. Solmi, op. cit.