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96 CAPITOLO III

cui l’ammirazione per l’antico s’avvicinava all’idolatria Leonardo, qualche rara volta, costringesse la sua natura pur ribelle a vincoli e a preconcetti ad una concessione alla moda imperante. Qualche accenno allo studio dell’antico fa capolino nelle carte vinciane, fra gli schizzi. Più numerose prove di un omaggio alla civiltà greca e romana e di riflesso all’arte loro si ha chiara ne’ suoi manoscritti. Il Solmi, sull’esame rinnovato delle fonti di quei manoscritti, ha confermato come Leonardo conoscesse la lingua latina, studiasse la greca, nutrisse entusiasmo per le cose dell’antichità, s’interessasse da vicino al trattato di Vitruvio, citasse Orazio, Ovidio, trascrivesse Plinio, possedesse nella sua biblioteca anche le deche di Tito Livio, conoscesse a fondo l’opera di Valturio come quella di Vitruvio. «Nel Codice Atlantico ricorda con trasporto la raccolta di marmi antichi che i principi avevan fatta in Firenze, e che era forse la più mirabile del tempo» (1).

Fra i motivi accolti dall’arte sua non mancavano soggetti e figure pagane: una Medusa, Nettuno, Leda, Pomona, Bacco. Affermava che l’imitazione dell’antico era da preferirsi a quella delle cose moderne. Nei suoi schizzi pei monumenti equestri ricorda le statue equestri romane e, in uno scritto, cita quella di Pavia, il Regisole, che andò perduta e della quale si lauda più il movimento che nessuna altra cosa (Cod. Atl., f. 147, r.) Et imita — insisteva nel trattato della pittura — quanto puoi li Greci e li Latini nel modo del scuoprire le membra, quando il vento appoggia sopra di loro li panni. Egli conobbe — a giudicare da un accenno del Codice Atlantico, fol. 120, recto — Viviano



  1. E. Solmi, Le fonti dei manoscritti di Leonardo da Vinci, in «Giornale Storico della Letteratura italiana», supplemento 10 e 11, Torino, 1908.