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     D’ella invermiglia il prato:
     Più bella d’ogni fiore,
     Spiratrice d’amore,
     A Venere t’inesca; e lussureggia
     D’olenti foglie; e, co’ bocciuoli tremuli
     Tripudiando, il calice
     A Zeffiro vezzeggia.

Non Achille Tazio, ma Enrico Stefano e Goffredo Oleario danno per saffica questa canzonetta, da quell’antico ridotta in prosa; mossi dalle parole di Filostrato per me recate nella Vita, §. XI.


XCVI.

(Da Eustazio, Sopra l’Iliade. II.)


D’Admeto, amico, il detto
     Imparando, ama i buoni, i poltri cansa:
     Ben sai che il poltro è per brev’ora accetto.

Qui cita Eustazio il Lessico Attico di Pausania; secondo il quale questo è principio di uno Scolio che cantavasi in Atene, e attribuivasi per alcuni ad Alceo, per altri a Saffo, per altri a Prassilla da Sicione.


XCVII.

(Dall’Antologia Palatina, VI, 269.)


Fanciulle, ancor che muta.
     Parlo, s’altri m’interroghi: chè al piede
     Loquela infaticabile mi siede.