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cento vortici spaventevoli. Come ascendeva coll’altera fantasia verso l’altezza massima del bello, fors’ancora agognava una perfetta beatitudine: forse la nauseava il bene, quando se gli appiccasse una menoma particella di male:

Nè miel, nè pecchia io voglio
(Framm.XCII).

Ma, sventurata e bruttina com’era, baldanzeggiava con femmine ch’erano, o si tenevano, più belle, più vezzeggiate, più amoreggiate; ed esaltava sè medesima, come renduta felice dalle Muse; e presagiva a coloro, dopo morte, quella obblivione che non avrebbe potuto seppellir lei (Aristide, Opere, Vol. III; e Saffo, Framm. XVII). Quando l’agghiacciava il presente, la rianimava l’avvenire, guardato a gran fidanza. Il presente sempre occupa, talor schiaccia, i piccoli: all’avvenire mirano i grandi. I suoi volumi ella ebbe in conto d’amici, di consorti nella sventura fedelissimi: (qui per solito s’allega Porfirione, Sopra Orazio, Serm., II, 1, 30; ma, considerato il passo, io temetti che Porfirione fosse stato frainteso dai filologi). Deplorando le calamità proprie, raccoglieva tutte le potenze dell’affetto sulla fiorente e vezzosa bamboletta, u-