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atteggiarono o agitarono la poesia saffica. Suada, la Dea della persuasione, che, giusta Saffo, era prole di Venere (Scoliaste di Esiodo, Opere e giorni, 73), la cospergeva di gajezza perpetua. Vi spesseggiavano gli encomii ai fiori; alla rosa nomatamente. «Saffo la rosa ama, e corona quella sempre di alcuno encomio, le belle tra le vergini a quella agguagliando (Filostrato, Lett. LXXIII).» Negli Epitalamii, soavità di paragoni freschi e floridi come le bellezze eterne di natura onde la poetessa li toglieva in prestito. Quivi s’introducevano, come nell’Epitalamio catulliano (Vesper adest; imitazione dei saffici, che s’abbella pur del Framm- LXV), due cori, l’uno di fanciulle, di giovani l’altro; che graziosamente contendevano, quelle accusando, questi scagionando, Espero. È pitturetta davvero dilicatissima, se veramente della Nostra, il Framm. XLIII. Studii qui chi vuol sapere scernere le grazie greche dalle smancerie d’Arcadia. Non ci sfuggano certi riscontri fra questi brani e la Bibbia. Il Framm. LIX, conforme facetamente chiosa il Deschanel, ci riporta a quel de’ Salmi (XXIII), nella Domenica delle Palme: «Attollite portas, Principes, vestras, et eleva-