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- Lesbia quid docuit Sappho nisi amare puellas?
- (Trist., II, 363)
- Lesbides, infamem quae me fecistis amatae.
- (Eroidi, XV, 201)
Il qual poeta trasse certamente dai libri saffici il seguente, come altri concetti dell’Eroide quindicesima, che i dotti reputano versione o imitazione dal greco; e dove ad ogni modo il Sulmonese non dovette dipingere il cuore della poetessa altro da quel che negli scritti apparisse.
- Molle meum levibusque cor est violabile telis,
- Et semper caussa est cur ego semper amem.
- (Ivi, 79-80)
Sentimento che perfettamente consuona coll’altro soprarrecato di Massimo Tirio. Non troppo casta la dice anco Marziale (VII, 69). Che Alceo la salutasse casta, non fa forza: - lode insidiosa del poeta, che sperava renderla impudica a piacer suo: ma la prova gli fallì. - Tracce non poche di mollezza troppo dannevole restano ancora nelle Odi e nei Frammenti che il tempo non divorò. L’Ode famossima, da tanti imitata, non agguagliata mai, non fu dettata per Faone, come avvisarono molti; sibbene per una donzella amata, come attesta chiaramente Plutarco (Amatorio):