(Meglio ella vegli al Campidoglio); schiva
La quaglia tarda per grassezza: il ventre
Tu, le interiora, e il tergo, ah il tergo! fuggi
Della scroffa ricurva, e del cinghiale, 135Sia pur in caccia da te colto, il lombo.
Poi nè il duro cocomer, nè il tartuffo,
Nè ’l carcioffo, ne ’l bulbo ti disfami.
Latte e aceto non lodo, non spumose
Tazze di pretto vin, quale i Cirnei 140Od i Falerni od i Pugliesi campi
Mandano, o qual da piccolo racemo
La Retic’uva: è meglio il vin Sabino,
Dalle Naiadi domo a larghe linfe.
Che se dell’orto il cibo ami, e le mense 145Care a Numi; non compre e semplici erbe,
Lieto sisimbrio, verdi mente, ed ài
Cicorea, e sonco in fior pel verno tutto,
E ’l sio che delle fonti ognor tra i rivi
Di godersi fa mostra, ed ài le timbre 150Soavi, e l’odorose calaminte.
Liete cògli melisse, e le buglosse,
U’ l’onda scorre, e a piene man l’eruca
Nel campo, e salso critmo, e bieta, e romice;
Danno il lupolo i dumi, e qui raccolgi 155Asparagi, e vitalba che non aggia
Rami e mani distese, e non suoi verdi
Corimbi ancor. Ma annoverarle ognuna
Lungo e vano sarebbe, e già mi chiama
Altra impresa, e le Muse a selve nuove 160Di Natura vo’ trar dall’ombre Aonie.
Onde se non vorranno alla mia fronte
Dar un serto d’alloro, e l’onor magno;
Alle mie tempie almen, per tante e tante
Vite salvate, lo daran di quercia. 165Se il morbo in primavera od in autunno