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Rôse acre umor le nari; e così alfine
A tempo breve l’infelice l’aure
Odïate lasciò. — L’Alpi vicine,
E i vaghi fiumi il piansero, e dell’Oglio
410Le Dee, le Ninfe Eridanine, e quelle
Della villa, e le Dee dei boschi, e il lago
Sebin lo pianse amaramente. — Adunque
Cotal peste mescea crudo Saturno
Per l’ampie terre, e Marte al par crudele
415Empie sorti aggiungea; che d’essa lue
Coll’apparir, cred’io, tutte sventure
Vaticinar le dire Furie a noi,
E tutti i guai dal fondo imo e dall’atra
Palude i laghi vomitar d’Averno
420E peste, e orribil fame, e guerra, e morte.
Patrii Numi di cui posa in tutela
Italia, o tu del Lazio, o tu Saturno
Padre, e che tanto mal mertaro i tuoi?
Che ci resta a soffrir d’aspro e di grave?
425Chi mai s’ebbe sì avverso il ciel? Tu prima
O Partenope narra i danni tuoi,
Le rapine, i Re spenti, e i tuoi cattivi.
Forse dirò la strage infanda, e il sangue
Franco ed Italo sparso in lotta pari,
430Quando sanguigno, e d’uomini e cavalli
Corpi estinti traendo, ed elmi, ed armi,
All’Eridano in sen correva il Taro?
E te di stragi nostre Adda spumante,
Te lo stesso Eridan padre infelice
435Quinci non molto al seno accolse, e teco
Pianse, e ti diè d’amiche onde conforto.
Povera Ausonia! ecco il valor tuo prisco,
E a che l’impero tuo Discordia addusse!
Avvi un angolo in te che non soffrisse
440Barbara servitù, rapine e stragi?