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Non gregge, non destrier; ma l’uom fra tutti,
Forte di mente, e ne pasceo le membra.
Nell’uomo poi quanto à di crasso il sangue
La turpissima assalse, dalle parti
305Più molli a sè traendo un pingue pasto.
Tai norme procedean fra morbo e sangue:
Or tutte io dir le affezïoni e i segni
Vo’ della peste rea: così mi doni
Favor la Musa, e tal difesa Apollo,
310Signor dei carmi e dell’età lontane,
Ch’aggian le mie memorie eterna vita.
Forse ai nostri nepoti e’ fia che giovi
Aver appreso di tal peste i segni.
Che dei fati al voler, gli anni volgendo,
315Tempo verrà, che in notte atra sopita
Anco morrà; dopo cent’anni e cento
La stessa rivedrà quindi le stelle,
E fia nuovo stupor d’età venture.
Mirabil era in pria, che il morbo appreso
320Certi spesso di sè segni non desse;
Che già di Luna empiuto un quarto corso,
E sebben entro penetri una volta,
Tosto per questo e’ non si mostra, e occulto
Cova, finchè si nutra e pigli lena.
325Da insolito torpor gravato intanto
E da spontanea languidezza vinti
Pigri e più tardi si moveano all’opre.
Anche il color natio degli occhi e spento
Cadea il color della non lieta fronte.
330Nata la carie fra pudende turpi
Coll’inguine rodeale invitta e lenta.
Feansi più chiari poi del morbo i segni:
Perchè, come fuggia del puro giorno
L’alma luce, e le tristi ombre notturne
335Cadeano, e quel calor, che suole innato