Giove, placido Re, su d’aureo cocchio
Vien dopo, equo ad ognun, se assenta il fato.
Ultimo, e tardo per etade e lunga
Via, giunge il Veglio, che à la falce, e sente 235Antico incontro al figlio, cui ricusa
Egli obbedir, l’odio, onde spesso addietro
L’orme volge, e minaccia indispettito.
Ma Giove, da quel trono u’ s’erge ei solo,
Apre i fati e il futuro, e molto i mali 240Della terra infelice egli compiagne,
Le guerre, i casi umani, le rovine
Degli imperi e le prede, e a morte schiuse
Le vie; ma più l’incognito contagio
Di mal nuovo, cui l’uom domar non puote. 245Assentir gli altri Dei; tremò l’Olimpo,
E l’aer tocco da novelli influssi
L’aeree piagge a poco a poco, e il vano
Infettarsi del ciel, donde inusata
Tabe pel cielo si disperse ovunque. 250Sia che, molli astri coll’ardente sole
Congiurando, traesse ignea una forza
Da terra e mar vapori, che, commisti
Ai venti lievi, esto novel contagio
Raro a veder recassero; ossia ch’altro 255Sceso dall’etra corrompesse ogni aura: Sebben; ned erro, arduo egli è dir quel ch’opri,
E con qual norma, il ciel, certe di tutto
Cause cercando; che talor lunghi anni
Differisce gli effetti, e meschia in tutto 260(Donde l’error) le sorti ai casi varii. Or via; ciò soprattutto apprendi: strana
Dei contagi e sì varia esser natura,
Che l’aer talvolta i soli alberi offese
E i molli germi e i fior: talora tolse, 265Stento d’un anno, seminati e liete