Dagli alti monti, i boschi seco, i sassi
Seco trarran gli armenti: urtando forte
O il padre Gange, o il Po torbido, sopra
Tetti e boschi, fia pari al mar sonante. 165L’estati altrove fien cocenti, e anch’esse
Sugli arsi fonti gemeran le Ninfe,
O i venti tutto inverdiranno, o chiusi
Scuoteran l’orbe, e le città turrite.
E dì forse v?rrà, dei fati al cenno 170E di Natura, in cui non sol la terra
Or colta andrà dal mar coperta, o nuda;
Ma il Sol medesmo — (e fia chi ’l creda?) — nuovo
Prenderà corso, e il muterà pur l’anno
Inusato calor, freddi inusati 175Verranno, e un cotal dì nuovi animali
Darà al mondo, e da sè fere ed armenti
Spirto trarranno dall’origin prima.
Forse e maggiori osa produr la terra
Darà Enceladi e Cei, col gran Tifeo, 180Presti i Numi a cacciar dal patrio cielo,
E svelto impor l’Ossa al nevoso Olimpo.
Locchè veggendo, è nulla a tempo certo
Guasto l’etra veder per morbi nuovi,
E nuove pesti da stelle prefisse, 185Egro l’uomo patir per lunghe etadi. Due secoli passar da poi che Marte
Coll’infausto Saturno i rai cocenti
Commisti in orïente ed in ira i campi
Inaffiati dal Gange, arse una febbre, 190Che (o Dio!) sputo di sangue, ansando il petto,
Dèsto, morte affrettava al quarto giorno.
Cotal morbo agli Assirii e i Persi, e quelli
Che beon Tigri ed Eufrate, a tempo breve,
Colse, e l’Arabo ricco, e il molle Egizio; 195Indi i Frigi, e oltremar miseramente