Popolo, padri, vecchi, e giovanetti
Mesti assisteano colle membra infette,
Brutte per croste, e per tabe gemente.
Con ramuscello d’Iaco un Sacerdote 240D’onda pura li asperge in veste bianca.
Poi svena bianco un bove all’ara innante,
E col sangue di quel, posto ivi presso,
Ne cosparge un pastore: al Sol potente
Sciolgonsi gli inni armonïosi, e tutti 245Fan prova di svenar pecore e porci,
Le viscere arrostir, mangiar sull’erba. Stupiron gli Europej del rito arcano,
E del contagio non pria visto unquanco.
Ma il Duce lor, gravi pensier volgendo, 250Quest’è il mal, seco disse — (o ciel ne scampa!) —
Che accennommi del Sol la profetessa.
Indi al rege stranier (già detti e lingua
Avean comune) a qual Dio spetti chiede,
La festa, e a che la tanta in quella valle 255D’infermi schiera miseranda, e all’ara
Perchè un pastor di bovin sangue intriso,
Cui: Fortissimo o tu di prodi Ispani
Duce, il re disse, è nostro rito offrire
Annuo a vindice Nume un sagrifizio: 260N’è l’origine antica, e gli avi a noi
Lo tramandar; pur se gli estranei casi
Udir ti giova, t’aprirò le prime
Cause del rito e della tabe infanda. Forse che infino a voi d’Atlante venne, 265E dell’antica sua progenie il nome:
Noi pur da lui per lungo ordin venuti
Siamo. Ed oh un tempo popolo felice,
Caro agli Iddii, sin che devoti e grati
Ad essi gli avi fur! Ma poi che i Numi, 270Pel fasto dei nepoti, ebbersi a scherno;