Di luce muta, a notte sacra, è sede
Di Numi, e n’à Proserpina il profondo,
L’alto i fonti, che fuor dagli antri sacri
Van per vie late romorosi al mare. 380Stan ricche Ninfe in mezzo, onde i metalli
Lucid’or, rame, argento origin ànno.
Ed una io delle suore a te pietosa
Ne vegno, io stessa, che per vie montane
Noti a Calliroe tua fumanti solfi 385Mando: fra terra e fumo ivano intanto. —
Ma già le fiamme crepitar, e i chiusi
Zolfi e di rame strider le fucine
S’odon: quest’è, la Vergin disse, terra
Del metal vario pregna, onde cotanto 390Cale a voi che del ciel l’aure beete.
Mille abitiam noi Dee quest’antri cupi,
Noi figlie della Notte e della Terra,
Piene d’arti e virtù: s’adopran l’une
L’acque a dedur, l’altre a cercar scintille 395E di commisto foco i germi ovunque:
Mescon materie quelle, oppongon queste
Alle masse ripari, e infondon l’acque.
Non lunge a canne aperte etnei Ciclopi
Àn le fucine, e cuocono, e riversano, 400Vulcan stride, e il metal sonante battono.
La manca interna via conduce ad essi:
Ma del rio sacro la diritta all’onde,
Onde d’argento e di metallo vivo,
Speme a salute. — E già tenean le aurate 405Volte, e di spodio le mura grommate,
E di fuligo e glauco zolfo intorno.
Già del liquido argento agli ampii laghi
Stavansi presso, e ne tenean le sponde.
E qui di tanti guai ritrovi il fine, 410Lipare aggiunge; per tre volte asperso