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Atto quinto
Giorno.
Atreo, e una Guardia
Sia pronto: bada, che nulla traspiri:
Cingan la sala i tuoi: null’uom qui innoltri:
Vanne.1.
Sempr’arte, e ferro mai? – Pur lieve
Fora adoprarlo, ma dannoso e poco:
E qui grand’arte vuolsi: alle promesse
Mescer ira e terrore. – Ippodamia
Viensi piagnente: fia di pro suo pianto:
In tempo giunge.
Ippodamia, Atreo
Atreo. E perchè, madre? Sorgi.
Ippodamia. L’ultime voci di tua madre intendi:
Se tuo fratello ei non è più, Tïeste
È figliuol mio; grande è per te sua colpa;
Nulla è per me: se tu nol salvi, io vengo
A’ piedi tuoi prima spirar: decidi.
Atreo. Parole parli di furor, di cieca
Disperazion; e non t’avvedi quanto
Strazio al mio core strazïato aggiungi.
Oh! non foss’ei fratello mio, non fora
Misto il mio pianto al sangue suo: – pur deggio
Sopprimer tutto, rammentar ch’io sono
Re, cui s’addice castigar delitti.
Placato è mio furor, ma non placato
È della legge il dritto.