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Fuggirti io sol dovrei: cagion non veggo
In me d’orrore, onde ribrezzo tanto
Atreo t’infonda: e tu m’abborri?
Erope. Abborro
Me stessa; abborro di mia vita i giorni
Perseguitati. Or che vuoi tu? Qual cura
Me, rado, o mai chiamata, or mi ti chiama? –
A tutto presta io vengo; ordin di morte
Attendo; e a me più dolce fia, che starmi
Al tuo cospetto.
Atreo. E sì crudel sarommi,
Che alla gentile un dì mia sposa, or d’altri,
Porger io voglia acerba morte? Eppure
L’avrei dovuto; ma se con Tïeste
Comune ho il sangue, non però comuni
Ho colpe ed alma.
Erope. Io ti recai di colpa
Dote e di pianto; io le funeree furie
Al tuo letto invitai; ti posi in pugno
Ferro uccisor del padre mio. – Tïeste
A torto incolpi; ei non è reo; tu il festi;
E la cagione io sol ne fui: me dunque
Danna al supplizio meritato, sola,
Me sola.
Atreo. Audaci nuovi detti ascolto,
Donna; dacchè più non ti vidi, oh come
Ratto di colpa la baldanza hai preso!
Ma al tuo signor dinanti stai; raffrena
Dunque tuo dire; dall’oprar tuo forse
Esser dissimil puote? A garrir teco
Qui non ti chiesi: alto si dee rimbrotto