Coprian, siccome li moveano l’aure. 350Ma ne più salutò dalle natie
Cime eliconie il cocchio aureo del Sole.
Nè per la coronèa selva1 odorata
Guidò a’ ludi i garzoni, o alle carole
Le anfionie fanciulle; ed insultanti, 355Delle sue frecce immemori, le lepri
Gli trescavano attorno, e i capri e i cervi
Tenean securi le beate valli,
Chè non più il dardo suo dritto fischiava;
Però che la divina ira di Palla 360Al cacciator col cenno onnipossente
Avvinse i lumi di perpetua notte.
Tal destino è ne’ fati. Ah! senza pianto
L’uomo non vede la beltà celeste.
Addio, Grazie! son vostri, e non verranno 365Soli quest’Inni a voi, nè il vago rito
Oblïeremo di Firenze a’ poggi
Quando ritorni April. L’arpa dorata
Di novello concento adorneranno,
Disegneran più amabili carole 370Le tre avvenenti Ancelle vostre all’ara:
E il fonte, e la frondosa ara, e i cipressi,
E i favi, e i serti vi fien sacri, e i cigni,
E delle ninfe il coro e de’ garzoni.
Ma intanto udite, o Vergini divine 375D’ogni arcano custodi, un prego udite,
Ch’io dal sacrario del mio petto innalzo.
Date candidi giorni a lei che sola,
Quando più lieti mi fioriano gli anni,
Il cor m’accese d’immortale amore, 380Poi che la sua beltà tutta m’aperse
La beltà vostra. Nè il mio labbro mai
Osò chiamare il nome suo; nè grave
Mi fu nudrir di muto pianto il duolo
Per lei nel lungo esilio. Ed ella sola
↑350-52. Il monte Elicona è nella Beozia. — Coronea era una provincia della Beozia stessa, e così chiamata da una città del medesimo nome, fondata da Corone nipote di Sisifo.