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262 le grazie

E dai gioghi d’Olimpo, acerbo in core,
Precipita, agitando arco e faretra
Strepitanti per gli omeri al suo corso:
E i chiusi strali presagìan frementi
115Quell’invisibil Dio che, pari a notte,
Di nembi circondato e di paure,
L’alme sorelle a funestar scendea.
Come, se a’ raggi d’Espero amorosi
Fuor d’una mirtea macchia escon secrete
120Due tortorelle mormorando a’ baci,
Guata dall’ombra l’upupa e sen duole;
Fuggono quelle impaurite al bosco;
Così le Grazie si fuggian tremando.
Fu lor ventura che Minerva allora
125Risaliva que’ balzi, al bellicoso
Scita togliendo il nume suo. Di stragi
Di canuti, e di vergini rapite,
Stolto il trionfo profanò che in guerra
Giusta il favore della Dea gli porse.1
130Delle Grazie s’avvide e della fuga
Immantinente, e dietro ad un’ombrosa
Rupe il cocchio lasciava, e le sue quattro
Leonine poledre: ivi lo scudo
Depose, e la fatale egida,2 e l’elmo,
135E inerme agli occhi delle Grazie apparve.
Scendete, disse, o vergini, scendete
Al mare, ed adorate ivi la madre;
E una pietà per gli altrui lutti. in core
Vi manderà, che oblierete il vostro
140Terror, tanto ch’io rieda a offrirvi un dono
Che da Amor vi difenda. - E tosto al corso
Diè la quadriga, e giunse ratto a un’alta

  1. 125-29. Gli antichi ci hanno lasciato memorie assai vaghe e confuse sul conto degli Sciti. La più comune opinione è che equivalessero a quelle popolazioni da noi chiamate Tartari. Erodoto ne favella a lungo, ed attribuisce loro, come principali caratteristiche, il valore e la più nefanda immanità in guerra. Nè adoravano, nè conoscevano la Deità di Minerva. (Vedi Erodoto, Melpomene.)
  2. 133-34. Quantunque sovente l’egida sia confusa collo scudo di Minerva, pure Servio dice chiramente: Ægis proprie est munimentum pectoris æreum, habens in medio Gorgonis caput. E aggiunge, che se è sul petto di un Nume, si chiama egida, se sul petto di un mortale, lorica. (Vedi Servio, in Æneid., lib. 8.)