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inno terzo. 261

Lume dell’astro suo. L’udì Armonia,
E giubilando l’etere commosse.
     Come nel chiostro vergine romita,
80Se gli azzurri del cielo, e la splendente
Luna, e ’l silenzio delle stelle adora,
Sente il Nume, ed al cembalo s’asside
Ed affatica l’ebano sonante:
Ma se le tocca insidïoso il core
85Colla occulta memoria delle gioje
Perdute Amore, movono più lente
Sovra i tasti le dita, e d’improvviso
Quella soave melodia che sgorga
Secreta ne’ vocali alvei del legno,
90Flebile e lenta all’aure s’aggira;
Tal l’armonia che discorrea da’ cieli
Le Grazie intente udirono, e nel core
L’albergaro; e correan su per la terra
A dettarla a’ mortali. E da quel giorno
95Fu più soave la fatica e il pianto,
Più liberale il beneficio, e grata
Del beneficio la memoria.1 Afflitte
Fuggon le caste Dee, fuggon l’ingrato,
E l’amicizia de’ potenti e il fasto.
100A te, Canova, a te chiedono amico
Ospizio, che alle belle Arti neglette,
O magnanimo, dài premj ed esempi.2
     E a te, felice Orfeo, primo le Grazie
Compartiano quel suono, onde a più mite
105Vivere addur l’umana plebe errante
Infra ciechi delirj. In mille piagge
Poser le Dive il piè: pure alla sacra
Terra d’Italia il nume lor più arrise.
     Vide lor possa invido Amor, de’ Numi
110Il più giovine insieme ed il più antico;

  1. 96-7. Fa scritto dagli antichi, che le Grazie erano state rappresentate di giovenile aspetto, per insegnarci che la memoria dei benefizi non deve invecchiare giammai.
  2. 102. Il Canova non solo fu sommo artista, ma altresì generoso protettore d’artisti. (Vedi Missirini, Vita del Canova.)