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inno secondo. | 259 |
20Pianger lei che all’eterne ombre gemendo
Da’ suoi baci tornò, scese e, commosso,
Radïante di stelle a te la lira
Diede e ’l suo lauro, e disse; ognun t’adori
Re de’ versi divini! A me voi date
25L’arte, o sacri Poeti, a me de’ vostri
Idïomi gli spirti (e la dolcezza
Mi daranno le Grazie), e co’ toscani
Modi seguaci adornerò più ardito
Le note istorie, e quelle onde a me solo
30Siete cortesi allor che degli antiqui
Sepolcri m’apparite, illuminando
D’elisia luce i solitarii campi
Ove l’errante Fantasia mi porta
A discernere il vero. Or ne preceda
35Clio, la più casta delle Muse, e chiami
Consolatrici sue meco le Grazie.1
Della terra al desio già Citerea
Rapiano l’aure, e seco ivan le figlie;
E intorno a lei radean lievi le falde
40Dell’Ida irriguo di sorgenti.2 E quando
Fur più al cielo propinque, ove una luce
Rosea le vette al sacro monte asperge,
- ↑ 29-36. Le prime storie tanto degli eroi che de’ popoli furono trasmesse alla posterità per mezzo della poesia accompagnata dalla musica, cioè della lirica; e Clio, secondo Esiodo la prima delle Muse, presiedeva a tali canti storico-lirici: quindi in tempi più vicini a noi essa fu nomata la Musa della Storia. Erodoto, quantunque dettasse le sue Storie in prosa, pure ai nove libri delle medesime diede il nome delle nove figlie di Giove e della Memoria, e al primo, quello di Clio. Intanto, siccome nella primitiva mistione di tutti i generi della letteratura si chiamarono storie anco le allegorie poetiche, ossia le favole, presso i poeti seguitò l’uso di appellare storie anco le loro finzioni morali o metafisiche. A questo mirava il Foscolo invocando Clio sul principio di questo Inno terzo, contenente una sublime narrazione allegorica, con cui si stabilisce, che la benefica influenza delle Arti gentili (le Grazie) non basta a compiere la umana civillà, per gli ostacoli che le vengono opposti dalla violenza delle passioni (Amore), senza il governo e gli aiuti della sapienza (Minerva). — Del resto, chiama Clio la più casta delle Muse, come quella a cui più dell’altre è debito di non adulterare il vero.
- ↑ 40. Montagna dell’Asia Minore, alle cui falde era situata Troia. A mezzo aveva un antro, gradito soggiorno degli Dei, e particolarmente caro a Venere, poichè ivi, per giudicio’ di Paride, ella ottenne il contrastato premio della bellezza.
poemi presso Napoli, ossia Partenope, ov’anche è sepolto. — Fra le sue poesie è celebre l’episodio con cui termina il quarto libro delle Georgiche, nel quale narra la sventurata morte d’Euridice sposa d’Orfeo, la costui discesa all’inferno per impetrare di riaverla, e il pietoso errore che gliela fece perdere nuovamente, e per sempre. — Orfeo, dopo il miserando scempio che di lui fecero de Baccanti, fu assunto in cielo ed onorato qual nume. Anco la sua Lira fu cangiata in costellazione, e collocata presso il tropico del Cancro. (Vedi S. Agostino, De civitate Dei. — Festi Avieni Arat. Phenomen.)