Fe del celeste Amor celebre il rito. 650Or quelle Ninfe, che fra noi di Tempe1
Co’ loro amanti accorsero, gentili
Dello sciame custodi, hanno abbellito
Alla famiglia di lor piante il nuovo
Ospizio, e l’aere intepidito e i rivi, 655Sì che pur sempre la natia fragranza
All’opra le sviate Api lusinghi:
E molti fiori olezzan qui, non visti
Pria negli orti materni; e più recente
Mèl ne deriva, e più gradito al labbro, 660Non più amabile al core.2 Invidi gli altri
Pur dell’esilio, abbandonano all’aura
Vizze le foglie sì vivaci un tempo;
E, se non fosse che son fiori eterni,
Lo stelo invan ne cercheresti, o il nome.3 665Fiorite, esuli piante; ecco io v’innaffio:
Torneran l’Api vostre. Io lascio intatto
Solo il ligustro onde cingea la cetra
Anacreonte. In su quel fiore un’Ape
Ronzava, e tal n’uscía suon delle fila, 670Che da Cupido avea baci spontanei
Il vecchierel. Negò ridarla a Febo,
E l’appendeva delle Grazie all’ara.4
E quel ligustro le Napee, seguaci
E custodi dell’Api, han co’ Silvani,
↑650. Tempe, valle amenissima della Magnesia, provincia della Tessaglia, gratissima ad Apollo, alle Muse ed ai loro cori.
↑652-60. La letteratura italiana nei secoli 15º e 16º assunse il colorito della greca, ed allora si arricchì di produzioni che la Grecia stessa vorrebbe per sue, come le Stanze del Poliziano, l’Aminta ec. È vero peraltro che gl’Italiani non seppero, nè potevano dare ai Poemi ispirati loro dalla Musa greca tutta quella grazia ingenua e primitiva che fu propria soltanto di quella nazione, e per cui la loro poesia è d’ogni altra la più amabile al core. Il Chiabrera, che certo aveva diritto di giudicarne, quando voleva indicare alcuna cosa eccellente in superlativo grado, soleva dire: ella è poesia greca.
↑661-64. La imitazione di alcuni generi della poesia greca fu infelicemente tentata dagl’Italiani. L’oro d’Omero divenne peggio che piombo fra le mani del Trissino. Tutte le tragedie, ancorchè calcate sul modello dei Greci, che cosa mai furono prima di Scipione Maffei? E così d’altro.
↑665-72. Augura il ritorno degl’Italiani allo studio della maniera greca, e sè dice iniziatore di tal ritorno. — Dichiara peraltro che non tenterà di far rifiorire fra noi l’inimitabilo scuola del voluttoso Anacreonte. — Questi fu di Teo, città della Jonia, e contemporaneo di Solone. Caro a Policrate tiranno di Samo, ei lasciò molte odi vaghissime, ma il cui perpetuo tèma sono l’amore e il vino. In esse egli parla di sè come d’un vecchio.