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inno secondo. 251

Che, per antico amor Flora seguendo,
Tendea per la tirrena onda il viaggio,
Trovò, simile a Cerere, una Donna1
570Sulla foce dell’Arno; e lo attendea,
Portando in man purpurei gigli e fronde
Dell’arbor che le avea novellamente
Palla donato: avea, riposo al fianco,
Un’etrusca colonna2, e a sè dinanzi
575Di favi desïoso un alveare.
Molte intorno a’ suoi piè verdi le spighe
Spuntavano, e perian molte immature
Fra sorgenti papaveri.3 Mal nota,
Benchè fosse divina, era la Donna
580Alle Pecchie immortali. Essa agli Dei
Non tornò mai, dacchè scendea ne’ primi.
Di noiosi dell’uomo: e il riconforta,
Ma le presenti ore gl’invola: ha nome
Speranza, e meno infida ama i coloni.4
585Già negli ultimi cieli iva compiendo
Il settimo de’ grandi anni Saturno
Col suo pianeta, dacchè a noi la Donna,
Precorrendo le Muse, era tornata.5

  1. 569. È la Speranza, como più sotto il Poeta fa manifesto. — Cerere figlia di Saturno, Dea delle biade.
  2. 574. Notano gli Archeologi che questa Dea, onorata maggiormente dai Romani che dai Greci, per lo più veniva rappresentata con qualche caratteristica etrusca, o nelle vesti, o nei simboli.
  3. 576-78. Quantunque anco i Mitologi le pongano in mano spighe di frumento e papaveri, notisi con quanta opportunità questi due simboli si adattino alla fiorentina repubblica, lieta in quel tempo di prosperità materiale, ma ingombra di quel civile oblio, che seppero indurre ne’ savi cittadini le arti sottilmente ingannevoli di Cosimo de’ Medici il vecchio. Molte delle spighe periano immature fra sorgenti papaveri, perchè le costui fraudi dittatoriali, checchè ne dicano i letterati e gli artisti da lui stipendiati, furono funeste allo svolgimento della Libertà, anzi prepararono l’aperta tirannide de’ suoi successori e congiunti.
  4. 583-84 Gli ordinamenti repubblicani delle Comuni italiane dopo il mille non costituirono Libertà verace per molte cagioni, ma particolarmente per questa, che non ebbero a fundamento l’unità assoluta e la indipendenza della italiana nazione. Ben furono prova o pegno e speranza della vera Libertà, che sul sentimento della unità nazionale sarà un giorno per inaugurarsi felicemente in tutta la Penisola.
  5. 585-88. Saturno, figlio di Cielo e padre di tutti i Numi, dai mitologi ebbe il governo del pianeta dello stesso nome. Siccome questo, uno dei più distanti dal nostro sistema solare, compie la sua rivoluzione nello Zodiaco, secondo l’Harris, nel periodo di trenta dei nostri anni, così il Poeta con tal modo di parlare astronomico viene ad accenuare con sufficiente precisione l’epoca in cui Firenze e le altre città toscane stabilirono le loro libertà municipali. Ciò avvenne nel primo ventennio dopo la morte della contessa Matilde, che mancó ai vivi li 24 luglio del 1115. Ora dall’epoca della emancipazione della Toscana alla caduta dell’impero greco corrono circa 210 anni, ossia sette anni Saturno. (Vedi Pivati, Diz. Scientif. — Pignotti, Storia della Toscana.)