285Di Borea, e il gel che pel solingo cielo
Dal carro l’imminente Orsa rovescia
Sulla scitica terra, orrida d’alte
Nevi e sangue ed armate ombre insepolte.
Solo frattanto il giovinetto Eroe 290La barbarica tenne onda di Marte.1
Così, quando Bellona entro le navi
Addensava gli Achei, vide sul vallo
Fra un turbine di dardi Aiace solo
Fumar di sangue; e ove dirùto il muro 295Dava più varco a’ Teucri, ivi a traverso
Piantarsi; e al suon de’ brandi onde intronato
Avea l’elmo e lo scudo, i vincitori
Impaurir col grido, e rincalzarli:
Fra le dardanie faci arso e splendente 300Scagliar rotta la spada, e trarsi l’elmo,
E fulminare immobile col guardo
Ettore che perplesso ivi si tenne.2
Sdegnan chi a’ fasti di Fortuna applaude
Le Dive mie, e sol fan bello il lauro 305Quando sventura ne corona i prenci.3
Ma più alle Dive mie piace quel canto,
Che d’egregia beltà l’alma e le forme
Colla pittrice melodia ravviva.4
Nė invan per l’altre età, se l’idïoma 310D’Italia correrà puro a’ nepoti,
(È vostro, e voi, deh! lo serbate, o Grazie)
Tento ritrar ne’versi miei la sacra
↑284-290. Il Poeta, per consultare al maggior effetto lirico, non tien conto dell’ordine cronologico. Nella precipitosa ritirata di Russia Eugenio tenne riuniti gli avanzi della grande armata, partecipando a tutti i patimenti, ai disastri, alle privazioni de’ soldati, e non abbandonandoli mai. Al Ney la Francia, ad Eugenio l’Italia debbono quanto delle reliquie di quel famoso esercito fu salvato. — È notabile la concisione eloquentissima degli ultimi due versi, particolarmente posta incontro all’omerico paragone che succede.
↑291-302. La forza e la terribilità di questo quadro superano tutto ciò che Omero stesso ci ha narrato degli scontri fra Aiace ed Ettore; e l’imagine de’ tre ultimi versi sale a tanta sublimità, a quanta non credo che arrivasse mai alcun poeta. Chi può leggerla senza brivido, getti via il libro. Per lui non scriveva chi con questo mirabile squarcio mostra, che non per poetica menzogna o vanità cantava altrove: — Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge. Questo squarcio trovasi pure nell’Ajace, atto III, sc. 3, ma qui produce molto maggiore effetto.
↑303-305. Questi tre versi soli valgono più che tutte le centinaia di quelli splendidamente adulatorii del Monti.
↑306-308. Nota il maestrevole garbo con cui torna a cantare delle Grazie.