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inno primo. 227

E i beneficj delle Dee, che a tutti
Che ad udirla accorrean non provocasse
275Soavissimi gemiti dal core.
Sventurata! piangetela donzelle;
Vergine sventurata! Arcade ell’era,
E di Tessalo amante; e l’amò pria
Che sì bello e gentile il conoscesse:
280E spesso al canto ei l’invitava, e spesso
Su’ labbri il canto le rompea co’ baci.
Già vicina alle sue nozze, beata
Le ghirlande apprestava; e le fu spento.
Senza lacrime a terra muta cadde;
285Ma le Grazie l’accolsero morente
Nelle pietose braccia, ed una nuova
Aura di vita le spirâr. La mesta
Non sciolse il cinto; e, finchè lei sotterra
Non chiamò Cloto1 a riveder l’amante,
290All’altar delle Dee consolatrici
Sacrò gl’inni e il dolor, vergine ancella.
     Udì Cipria que’ Cori, e disvelossi;
E quanti allor garzoni e giovinette
Vider la Deità, furon beati;
295E di Driadi col nome e di Silvani
Fur compagni di Febo. Infra le Muse
Scherzar ne’ fonti suoi vedeali Imetto,2
E ne’ suoi colli il Tebro.3 Oggi, le umane
Orme temendo, e de’ poeti il vulgo,
300Che con lira straniera, evocatrice
Di fantastiche larve, a sè li chiama,
Invisibili e muti nelle selve
Celansi: come quando esce un’Erinni

  1. 289. Cloto, la prima delle Parche, cui incombeva di regolare il tempo della esistenza. Il Poeta, considerandola qui come quella che chiamava alla pace de’ sepolti un’amante infelice e cara alle Grazie, sembra aver mirato a quel luogo di Pausania (Attic., p. 33), ove riferisce che presso i Greci, e particolarmente in Atene, avea culto ed ara sotto il nome di Venere urania, o celeste.
  2. 297. Imetto, monte dell’Attica presso Atene.
  3. 298. Qui e ne’ seguenti versi il Poeta, inesorabile alunno dell’Arte greca e latina, dà un fiero colpo alla scuola boreale. Comunque sieno le opinioni del lettore su questo proposito, certo egli non potrà pon rispettare il voto che questo alto e libero intelletto in ogni occasione volle serbare a favore di una scuola, di cui fu zelatore caldissimo, e di cui anco aumentò i tesori con questo Carme.