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Odi, e poi danna i miei trasporti crudi.
Mentre all’orror di notte ululi, gemiti,
E pianti diffondea su le passate
Sventure, su mio figlio, e su... Tïeste,
Ecco m’odo tuonar d’alto spavento
Voce, e di pianto intorno. «A che ti stai?»
Grida: «s’appressa l’ora, e ’l figlio tuo»
«Pasto sarà de’ padri suoi». M’arretro:
«T’arma, ferisci, vittima innocente»
«Fia cara al Cielo; schiverà delitti». –
E voce fu d’un dio: l’udii pur ora
Nella gemente stanza rimbombar.
Ippodamia. D’accesa fantasia, figlia, son vote
Larve, che a’ sensi tuoi tuo duol presenta
Ad angoscia maggior. Ma, e tu lor badi?
Sta in te, le scaccia.
Erope. Oh! mal t’apponi. E come
Che le scacci vuoi tu? Co’ miei rimorsi
Deggion esse svanir; co’ miei rimorsi
Mi seguiran perfino entro il sepolcro. –
Pace una volta, pace. – Io non lo merto
Perdon, nè il chieggo: ma perchè d’Atreo
Non scoppia il sanguinoso rancor cupo
A giusta pena? A che mi serba? – Ahi! forse
All’inteso presagio.
Ippodamia. E che? d’Atreo
Qual mai tema n’hai più?
Erope. Non è ancor caldo
Il ferro, ond’ei sotto amistà mi spense
Il genitor? non odi aspre parole
Di menzogna e rimbrotto? irati sguardi
Non vedi in fiel cospersi?... Obbrobrïoso
Ripudio?... atre rattenute minacce?...
Il suo cor?... tutto, tutto?
Ippodamia. I tuoi timori
Fanti veder più che non è. Ma, il credi,
Altri oggimai pensier...