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inno primo. 219

Apparì colle Grazie; e le raccolse
L’onda jonia primiera, onda che, amica
Del lito ameno e dell’ospite musco,
45Da Citera1 ogni dì vien desïosa
A’ materni miei colli. — Ivi fanciullo
La deità di Venere adorai.
     Salve, Zacinto! All’antenoree prode,
De’ santi Lari idei ultimo albergo
50E de’ miei padri, darò i carmi e l’ossa,2
E a te i pensier; chè pïamente a queste
Dee non favella chi la Patria oblia.
Sacra città è Zacinto! Eran suoi templi,
Era ne’ colli suoi l’ombra de’ boschi
55Sacri al tripudio di Dïana e al coro,
Nè ancor Nettuno al reo Laomedonte
Muniva Ilio di torri inclite in guerra.3
Bella è Zacinto! A lei versan tesori
L’angliche navi; a lei dall’alto manda
60I più vitali rai l’eterno Sole;
Limpide nubi a lei Giove concede,
E selve ampie d’ulivi, e liberali
I colli di Lieo:4 rosea salute
Spirano l’aure, del felice arancio
65Tutte odorate, e de’ perpetui cedri.
     Tacea splendido il mar, poi che sostenne,
Sulla conchiglia assise e vezzeggiate
Dalla Diva, le Grazie: e a sommo il flutto,5
Quante alla prima prima aura di Zeffiro
70Le frotte delle vaghe api prorompono,

  1. 45. Citera, isola posta dopo Zacinto, patria datami dal cielo, è l’estrema della Repubblica settinsulare. Zacinto è la sesta. (F.)
  2. 48-50. I primi Veneti, che l’Autore chiama suoi padri, furono colonia troiana dopo le ruine dell’Asia. (F.) Virgilio attesta che il troiano Antenore fondò Padova. (Æneid., lib. I.)

  3. 53-57. Zacinto, secondo Plinio, era celebre per la sua religiono a Diana due secoli innanzi la guerra iliaca, in cui fu punita anco la perfidia di Laomedonte, che aveva ingannato gli Dei da’ quali era stata edificata la sua reggia. (F.)
  4. 58-63. Teocrito la chiama bella Zacinto, e Omero e Virgilio la lodano per la beltà de’ suoi boschi, e la serenità del cielo. Oggi ha pure agricoltura e commercio, accennati dall’Autore. (F.)
  5. 68-77. L’immaginazione ingentilita e rallegrata produce le gentili fantasie; e in Grecia popolò il mare di Ninfe. — La similitudine delle api, dal primo e dall’ultimo verso in fuori, è tolta da Omero, Iliade, II. (F.)