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N’hai forse tu? Tuo vano schermo apponsi
A colpa?
Erope. Al suo delitto! Error comune
Comun chiede gastigo: a lui più ch’altro,
Ferro oppor io dovea: non debil mano
Di debil donna. – E ben: io lo mertai
Il supplizio, a cui corro, e ’l Ciel lo vuole;
Ippodamia. Ma il figlio tuo? ma un innocente? Oh numi!
Qual è il delitto suo?
Erope. Di colpa è questo
Frutto esecrando, e di colpa è rampogna.
Ma oimè! non tu, figlio, sol io
La cagione, io ne son... Pure morrommi;
E in mezzo al duol te lascerò? Tu vivi,
E ti segue ognor morte: Atreo non spira,
Che per sfamar sua rabbia in te: nel scorno
Benchè tu nato, mi sei figlio, e merti
Quella pietà che per me cerco. Invano
E doni e pianti avrò d’aspri custodi
A’ piedi sparso? – No, s’io ti dischiusi
Dalla ferrea prigion, per morir teco
Ti schiusi; per morir...
Ippodamia. A che tant’ira?
Qual n’hai ragion? D’Atreo, gli è ver, tu soffri
Dispregio sì, ma non a tal, che tanto
Ti spiri eccesso.
Erope. Ippodamìa, nell’alma
Udisti mai rimorsi? Empia, abborrita
Passion t’agitò mai? Di madre i palpiti
Troppo presaghi, che mio figlio un giorno
Vedrommi a’ piedi strazïar, e senza
Poter prestargli aïta? Ah! tu mal provi
Quanto mi lania e mi dispera. Oh truce
Pena del mio misfatto! Orror succede
A orror: veggo Tïeste egro rammingo
Per le terre non sue, squallido, solo
Gir strascinando una vita languente,