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170 | liriche e saatiriche |
Ebbi in quel mar la culla:
Ivi erra, ignudo spirito,
Di Faon la fanciulla;
E se, il notturno zeffiro
Blando sui flutti spira,
Suonano i liti un lamentar di lira!
Ond’io, pien del nativo
Aër sacro,
sull’itala
Grave cetra derivo
Per te le corde eolie;
E avrai, divina, i voti,
Fra gl’inni miei, delle insubri nepoti.
A ZACINTO,
SONETTO.1
Ne mai più toccherò le sacre sponde
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
Del greco mar, da cui vergine nacque
5Venere, e fea quell’isole feconde
Col suo primo sorriso, onde non tacque
Le tue limpide nubi e le tue frondeq
L’inclito verso di colui che l’acque
Cantò fatali, ed il diverso esiglio,
10Per cui, bello di fama e di sventura,
Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
O materna mia terra: a noi prescrisse
Il fato illacrimata sepoltura.
- ↑ Diamo qui luogo a questo ed ai due seguenti sonetti, circa ai quali non sapremmo assegnare il tempo preciso in cui furono composti. Nè ha potuto darne qualche lume in proposito la edizione delle Liriche foscoliane fatta dal Destefanis nel 1803, coll’epigrafe sollicitae oblivia vitae, e dedicata dall’Autore a Giovan Batista Niccolini, perchè le due Odi e i nove Sonetti che in essa si contengono non sono disposti per ordine cronologico.