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giustizia e dall’idee tutte di quella repubblica.
Se non che quella idea metafisica è più, a mio parere, una obbliqua satira della specie umana. Poiché, dipingendo costumi e governi liberi d’ogni passione, e dalla sola ragione diretti, e però impossibili non solo, ma né atti pure ad esperimento, viene a provare che le leggi tutte devono prendere norma da’ vizi e dalla naturale e necessaria malvagità de’ mortali. E Platone stesso, perché scriveva ad uomini greci, e non agli angioli della sua repubblica, non è forse, e per l’altezza de’ concetti, e per la pittura de’ personaggi, e per la passione delle sue narrazioni, e per quell’intrinseco incantesimo del suo stile, più poeta d’ogni altro scrittore, e più che non si conviene forse a filosofo? Non chiama egli divini i poeti, e gli stessi interpreti loro ispirati dall’alto?1. Era dunque non esilio, ma ostracismo quello de’ poeti dalla sua repubblica; la quale opinione, assurdamente raccolta, serve di spada agli scienziati illiberali ed a’ principi ignoranti, degni di essere capitanati da quell’imperadore, il quale, per non parere da men di Platoneì2,